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Ottenere il visto per la Russia fu una passeggiata.

Feci domanda online e dopo pochi giorni lo ricevetti per posta da Putin in persona.

Non è vero, non andò così: ottenere il visto fu un’epopea incredibile.

Se non lo avete ancora fatto, vi consiglio di leggere il primo capitolo di questa avventura russa per chiarire le motivazioni che mi spinsero a richiederlo. Inoltre, prima di raccontarvi della tredicesima fatica di Ercole, urge una breve panoramica sui visti per la Russia (in fondo all’articolo vi lascio anche dei link utili nel caso voleste approfondire l’argomento). Esistono diverse tipologie di visto per la Russia, da richiedere in base alla finalità: c’è il visto turistico, privato, per Affari, per Studenti. A me serviva proprio quest’ultimo che, a differenza degli altri, all’epoca era gratuito.

Per ottenere un visto Studenti avevo bisogno di:

  • passaporto valido con data di scadenza conseguente alla data di ritorno di almeno 6 mesi;

  • lettera di invito da parte della scuola per stranieri che mi avrebbe ospitato.

Avevo acquistato il volo per San Pietroburgo con partenza a metà giugno e avevo scoperto che per ottenere il visto sarebbero state necessarie due settimane. Per sicurezza, giocai d’anticipo e feci richiesta via mail alla scuola per la lettera di invito a inizio maggio… ovvero il periodo peggiore per farlo. Dovete sapere che in Russia il 9 maggio si festeggia il giorno della Vittoria, ovvero il “Den Pobedy” (vi ricordo che l’Unione Sovietica fu tra i vincitori della seconda guerra mondiale). Siccome questa data rievoca un fatto storico importante, i cari amici russi per l’occasione chiudono baracca e burattini per una settimana, le aziende fanno lo stesso e, ovviamente, gli uffici della scuola che avrei frequentato seguirono la tradizione. Ebbene, aspettai quasi una ventina di giorni…. e ricevetti la lettera d’invito sbagliata. Il mio nome era scritto male (non coincideva con il nome scritto sul passaporto) e la data era errata: la richiesta per il visto comprendeva tre giorni in meno rispetto al biglietto di ritorno. Rifeci in fretta e furia la richiesta per la lettera d’invito e chiamai la scuola praticamente tutti i giorni, cercando di comunicare con una lingua a metà tra il mio russo squattrinato e un inglese elementare che nessuno dall’altra parte capiva (solo un popolo supera l’ignoranza di noi italiani nell’inglese, immaginate quale?): quando, finalmente!, mi arrivò per mail la lettera di invito giusta, mancavano esattamente due settimane alla partenza.

Non ero per niente sicura di riuscire a partire in tempo.

Con la lettera di invito in mano prenotai un appuntamento sul sito del consolato russo a Roma per fare richiesta di visto e, invece di mandare il passaporto per posta, decisi di andarci di persona. L’appuntamento era alle 8 di una mattina di inizio giugno all’ambasciata in via Nomentana: come nei migliori film, per aumentare la suspance, sarei dovuta arrivare esattamente a quell’ora: se avessi tardato anche solo di 5 minuti, l’appuntamento sarebbe stato annullato. Il giorno dell’appuntamento io, il mio ragazzo J e i miei genitori partimmo tutti assieme alle 4 del mattino da Pesaro. Nonostante il largo anticipo, alle 7.45 ci trovammo praticamente fermi nel traffico di Via Nomentana, a svariati numeri civici dal consolato.

…Che fare? (Chi coglie questo nesso ha una vodka offerta da me a fine quarantena!)

Io e J scendemmo dalla macchina e iniziammo a correre contro il tempo per raggiungere il consolato. Alle 7.59, senza fiato e completamente sudati, fummo accolti da un sospettoso guardiano russo all’ingresso dell’edificio. La struttura dell’ambasciata a Roma è maestosa e imponente, eppure il modo in cui le pratiche si svolgono non è cambiato molto rispetto a 100 anni fa. Chi ha visitato qualche ex repubblica sovietica può confermare le stranezze e le contraddizioni dei Paesi che hanno vissuto sotto il regime per anni e che d’un tratto si sono trovati liberi dalla dittatura. Da un lato vivono la voglia ansiogena di modernizzarsi, dall’altro manifestano la condizione impaurita di trovarsi senza regole autoritarie da seguire. Questo crea un mix letale di attese e confusione, di ordini perentori e norme senza senso. Il consolato russo a Roma all’epoca era una replica in scala di tutto ciò.

bandiera russa
Foto di jorono da Pixabay

Varcata la soglia, io e J ci trovammo in un grande atrio. Essendo mattina presto, c’era ancora poca gente e un silenzio surreale. A un certo punto, andando completamente a caso, ci trovammo in una stanza immensa. A sinistra c’erano dei banchi di scuola appoggiati alla parete e sopra di essi un centinaio di passaporti aperti in modo abbastanza casuale: sembrava quasi che qualcuno li avesse rovesciati lì, alla mercé del primo passante in cerca di una nuova identità. In fondo a quell’enorme stanza, al centro, c’era una scrivania con una signora seduta, la quale ci chiese di metterci in fila. Dove vi mettereste in fila in un campo da calcio, senza indicazioni e senza nessuno prima e dopo di voi? Al centro? Ai lati? In diagonale? J provò ad accostarsi a sinistra, vicino ai banchi con i passaporti: grave errore. La donna alla scrivania sbraitò qualcosa in russo e intuimmo che i passaporti sarebbe stato meglio lasciarli da soli.

Dopo aver aspettato una decina di minuti in questa fila bizzarra, mi venne chiesto di passare nella stanza successiva (J credo rimase nella stanza dei passaporti). Entrai in un ufficio vecchio stile e mi accolse un uomo russo vestito elegante con i capelli tagliati a scodella. Chi lo sa, forse era il console in persona: non lo scoprii mai perché non si presentò e non parlava praticamente italiano. Spiegai che avevo bisogno del visto Studenti e lui rimase impassibile. Silenzio totale. Allora tirai fuori la lettera d’invito. Ancora silenzio. In un lampo di ingegno tirai fuori anche il passaporto e allora lui prese vita: prese un foglio e iniziò a scrivere qualcosa.

Il mio asso nella manica fu che ad un certo punto masticai una frase di russo: incuriosito dal fatto che io parlassi la sua lingua, il console in incognito ebbe un impeto di fiducia nei miei confronti e… mi diede dei soldi da portare alla segretaria. Ve lo giuro. Una volta terminata la mia pratica, il mio ragazzo mi vide sbucare da quell’ufficio con una mazzetta di soldi in mano, chiedendosi con quali straordinarie abilità avessi ottenuto quella somma. A quel punto tornai nella stanza dei passaporti, mi sedetti alla scrivania con la signora e le diedi i soldi del console assieme al passaporto e ai fogli che lui aveva compilato per me. Lei mi liquidò dicendo che il visto sarebbe stato pronto una settimana dopo e che sarei dovuta tornare a prenderlo.

Voglio specificare che per me l’esperienza al consolato di Roma fu totalmente positiva. Essendo stata in Kazakistan qualche anno prima, conoscevo già il retaggio burocrate ex sovietico. Vi racconto tutto questo perché chi si trova a dover gestire queste situazioni potrebbe sentirsi confuso. La burocrazia in Russia è lenta e macchinosa ma con un pizzico di pazienza si risolve (quasi) tutto. Io da buona Bilancia, non ho assolutamente voglia di arrabbiarmi, ho pazienza da vendere e accetto di buon grado di attenermi a regole imposte se non fanno male a nessuno, anche se non ne capisco il senso.

Insomma, dopo aver battuto il record dei 500 metri di velocità per arrivare in tempo al consolato, lavorato da segretaria per gli affari del burocrate e aver salvato mio moroso dagli urli di una impiegata russa, ottenni finalmente l’approvazione per il rilascio del visto. 10 giorni dopo, diedi l’ultimo esame della sessione a Venezia, presi un treno notturno Venezia-Roma e la mattina ritirai l’agognato visto in consolato.

Ero finalmente pronta per partire.

Onore alla bandiera russa

Link utili:

Distinzione tra i visti per la Russia: https://rusalia.it/ottenere-visto-russia/ù

Istruzioni per richiedere la lettera di invito: https://rusalia.it/lettera-invito-russia-visto-russo/

Consolati russi in Italia dove fare domanda di visto: https://roma.mid.ru/web/roma_it/consolati-russi-in-italia



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