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Chi di noi non ha a rapporto almeno una figuraccia o un’esperienza da dimenticare nel mondo del lavoro?

Oggi voglio raccontarvi del momento che, ad oggi, considero il peggiore della mia carriera lavorativa. Non dimenticherò mai quando Yuri P., il cliente più importante che avevamo in Ucraina, “mi diede buca” alla Fiera di Milano. Detta così, forse non rendo la gravità della situazione e il significato umiliante dell’accaduto, ma fra un attimo vi sarà tutto più chiaro. Lasciate che vi spieghi.

Chi lavora nell’arredamento sa che il Salone del Mobile di Milano è l’evento annuale più importante del settore, in quanto raccoglie milioni di persone da tutto il mondo. Nella settimana di aprile designata (che, ahimè, quest’anno non ha avuto luogo a causa delle restrizioni per il COVID-19) negozianti, imprenditori, architetti, agenti e giornalisti si riversano su Milano in cerca delle strepitose novità che le aziende italiane sfornano nei vari padiglioni consacrati alla Fiera e anche nei vari show room dislocati per la città. In seguito alla laurea specialistica a Ca’ Foscari, ho avuto la fortuna di essere immediatamente assunta in un’agenzia di commercio che lavorava (e lavora tutt’ora) con l’estero. Ci sono rimasta per quattro anni e, come sapete, il primo lavoro, come il primo amore, non si scorda mai. Emotivamente ho dato e ricevuto tanto da quell’esperienza e ancora oggi sento regolarmente il mio capo di allora e i miei ex colleghi. Ebbene, in quanto agenzia di commercio rappresentante di prestigiose aziende italiane, partecipare al Salone del Mobile era un obbligo, ma farlo assieme ai miei compagni di lavoro era un divertimento unico e uno spettacolo puro.

Classica serata post Salone al ristorante Il Gambero d’Oro

Milano, colleghe in fiera


Ho amato follemente l’eccitazione tangibile dei giorni precedenti il Salone, le frasi spaccone dei vari export manager sotto stress, i kilometri macinati a correre da uno stand all’altro con i piedi gonfi, i clienti che arrivavano da ogni parte del mondo, gli eventi serali organizzati dalle aziende nei locali più alla moda di Milano. Altra cosa incredibile da un punto di vista meteorologico, durante tutte e 5 le fiere a cui ho partecipato, Milano si è sempre presentata sfavillante, baciata dal sole e senza un giorno di pioggia, bellissima e agghindata al meglio come una stylist irriverente. Insomma, andare in Fiera è come fare un viaggio per incontrare in una sola volta tutti i clienti con cui si collabora. Sapete quanto io ami viaggiare e che questa è forse la parte che apprezzo di più della mia professione. Adoro incontrare nuovi clienti perché ancor prima che collaboratori li considero affascinanti esseri umani con delle storie da raccontare. Come però ben sappiamo ci sono clienti che, per la famosa regola del 20/80, sono i principali fautori della gran parte del fatturato aziendale e gli appuntamenti con loro sono molto più importanti di altri.

Tornando a noi e ai nostri momenti da dimenticare, vorrei che immaginaste la me di qualche anno fa. Siamo al Salone del Mobile 2018: io mi trovo allo stand della Kartell, vestita elegante e truccata alla meglio per nascondere la stanchezza delle pochissime ore di sonno, tirata a lucido come mai mi succede durante l’anno. Sono super sorridente e fingo un’aria rilassata: eppure dentro mi sta crescendo un’agitazione incredibile, le mani si stringono nervosamente a pugno e i miei occhi sfrecciano tra tutta la marea di gente che si accalca sullo stand.

Salone del Mobile, Milano
Io assieme a Tatiana, una carissima cliente di Kiev

In quanto responsabile del mercato ucraino per la mia agenzia, ho preso appuntamento con il nostro migliore cliente, Yuri P., alle 17 del pomeriggio. Il Salone del Mobile è un investimento incredibile per ogni azienda che vi partecipa, siamo nell’ordine di centinaia di migliaia di euro di costi. Ne deriva che tutte le imprese si aspettano dall’evento un risultato più che eccezionale (attesa che ogni anno si rivela disillusa perché sempre più clienti visitano, si meravigliano e non acquistano; però la Fiera bisogna farla perché fa figo e se non partecipi sei uno sfigato). Io sono in piedi in un punto strategico dello stand che parlo distrattamente con un altro agente. Il direttore commerciale della Kartell è seduto dietro di me. E’ un bell’uomo di mezz’età, occhio azzurro e capello brizzolato. Mi ricorda Travaglio: non sorride mai, è sempre impassibile e evoca terrore solo a guardarlo negli occhi.

La Kartell è una delle aziende di design più famose a livello internazionale ed è un onore essere in prima fila a conoscere le novità. C’è solo un piccolo dettaglio: se non fatturi, sei fuori dai giochi. L’azienda è così seria sull’argomento che nelle settimane precedenti al Salone crea un’agenda digitale visibile a tutti gli agenti, dove ognuno di loro deve fissare in anticipo tutti i meeting per far sì che vengano riempiti tutti i blocchi orari. Ci tengo a precisare che la probabilità che un cliente arrivi all’orario prefissato sullo stand è pari al verificarsi di una pandemia, ovvero una ogni secolo. Allo stesso tempo però, se non blocchi nessun appuntamento, puoi dire addio alla rappresentanza del brand.  Mi sembra ovvio quindi che quell’agenda digitale sia un assoluto strumento del Male che può portarti solo dei grossi guai.

Ebbene, con tutto l’entusiasmo che solo il clima Fiera è in grado di darmi, io non solo ho bloccato sull’agenda digitale diversi meeting con i clienti abituali: ho addirittura richiesto la presenza del direttore commerciale dagli occhi di ghiaccio per l’incontro con il suddetto cliente. Infatti, in gioco c’è lo sviluppo del brand in tutta l’Ucraina tramite i negozi del potenziale partner. A ripensarci, non so in preda a quale follia fossi per scegliere di racchiudere tutta la mia reputazione nelle mani di un unico cliente e, soprattutto, nello slot digitale di una malefica agenda condivisa. So però che sono già le 17:30, Yuri non si è ancora visto e nell’I-pad del sosia di Travaglio c’è scritto in blu: appuntamento con Iuri G. dalle 17 alle 18, preso da Sara Antonioli. Inizio a sudare freddo. Chiudo gli occhi e desidero con tutte le mie forze di trasformarmi in una hacker con poteri sconfinati per entrare in quel fottutissimo Ipad e cancellare l’appuntamento in blu. Purtroppo non funziona. Inizio a pregare per la prima volta nella mia vita e chiedo di essere trasformata all’istante in un pezzo d’arredamento Kartell per passare inosservata. Sono disposta anche a diventare una sedia e a battermi per i diritti della categoria. Purtroppo non funziona neanche questo.

Passa un’ora, poi due. Quel giorno, sono rimasta ad aspettare Yuri P. fino alle 19. Di solito gli stand chiudono alle 18 ma io non potevo credere che fosse veramente successa una cosa simile e non volevo arrendermi. A un certo punto, il direttore commerciale si è alzato, ha lanciato un’occhiata indifferente verso di me e se ne è andato via senza una parola. Vi assicuro che avrei preferito mille volte un’incazzatura furiosa invece di quel silenzio glaciale di ironica delusione. In quanto a Yuri, non è mai arrivato. Ho provato a chiamarlo al cellulare più volte senza risposta. Non mi ha avvisato per dirmi che aveva fatto tardi e che sarebbe venuto il giorno dopo. Non mi ha chiamato scusandosi. Né quel giorno, né mai. Niente di niente.

Poche volte nella mia vita mi sono sentita così umiliata e così impotente. Mentre scrivo, mi è ritornato il nervoso e il cuore mi sta battendo forte per la frustrazione. Quella sera, a cena con i colleghi, mi veniva da piangere. Tutti hanno cercato di tirarmi su e di sdrammatizzare sull’accaduto, ma io ero veramente a terra e soprattutto non sopportavo il fatto di aver ridicolizzato anche il nome dell’agenzia davanti a un’azienda del calibro di Kartell. Ci ho messo del tempo a superare questo episodio. Per parecchi mesi ho avuto l’ansia di prendere appuntamento con altri clienti per paura che succedesse di nuovo. Ero così suscettibile sull’argomento che il mio collega Marco un giorno provò a scherzarci sopra e si beccò un evidenziatore in fronte (per farmi perdonare, mi giocai una bottiglia di limoncello). Ma la cosa più incredibile è che non ebbi alcun tipo di reazione con Yuri. Naturalmente, lo rincontrai quando andai a trovarlo a Kiev per presentargli le novità. Continuammo a collaborare, mi invitò a pranzo. Eppure, non gli ritirai più fuori questa storia: buttai giù quel rospo amaro pensando che forse avevo sbagliato io a dargli appuntamento nell’ora sbagliata o giustificandolo, convincendomi che fosse da capire perché troppo impegnato.

Quel giorno in Fiera, Yuri non voleva umiliarmi o rendermi ridicola: semplicemente il progetto Kartell non era una sua priorità ed era passato in secondo piano rispetto ai milioni di appuntamenti presi in giornata. Ad ogni modo, oggi non mi farei più trattare così. Ho sempre creduto molto nel rispetto degli altri, ma ora che sono cresciuta credo molto anche nel rispetto di me stessa. Gli inconvenienti succedono sulla vita e sul lavoro. Anche a me è successo di perdere aerei e di dover saltare meeting importanti con capi aziendali super impegnati. La vera differenza la fanno il modo di reagire all’imprevisto, il coraggio di chiedere scusa e di prendersi le proprie responsabilità, ma anche il sapersi difendere quando la nostra professionalità viene (volontariamente o meno) calpestata. Alla fine, da tutta questa storia qualcosa l’ho imparata: va bene essere accomodanti con gli altri ma occorre capire quando è il momento di farsi rispettare. E sopratutto, mai avere la presunzione di fissare un appuntamento nell’agenda virtuale del direttore commerciale della Kartell!

Vi abbraccio smisuratamente,

 vostra Saretta

Ps. A quale episodio della vita lavorativa avete assegnato il peggior premio? Voglio sapere come l’avete superato! Se conoscete qualche amico che sta passando momenti di difficoltà al lavoro, condividete questo articolo, taggatelo e si sentirà subito meglio 😉

Salone del Mobile, stand Gamma Arredamenti, con le mitiche Lucy e Davy

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